Il vissuto psicologico del bambino chirurgico: persone coinvolte e fattori protettivi
Ci sono eventi della vita che segnano profondamente lo sviluppo del bambino e che necessitano di attenzione e cura da parte delle persone coinvolte, tra questi troviamo l’iter chirurgico.
A partire dagli anni ’30 Anna Freud iniziò ad occuparsi del concetto di malattia cronica e di come questo può interrompere lo sviluppo del bambino.
L’ingresso in ospedale ed il periodo di ricovero diventano per il bambino delle situazioni nuove, alle quali deve adattarsi, sia da un punto di vista fisico che psicologico. Come riportato da Falck nel 1987 “l’ospedale è come un paese straniero alle cui abitudini, lingua e orari devono imparare ad adattarsi” infatti, la degenza implica cure e terapie, significa relazioni con persone sconosciute ed alle quali bisogna affidarsi ma soprattutto comporta la separazione dal nucleo familiare e l’ingresso in un ambiente diverso. Tutto ciò influenza lo sviluppo emotivo, cognitivo, affettivo e relazionale, portando inoltre a modificazioni dell’immagine di sé e del proprio corpo. Se immaginiamo quindi, lo sviluppo di un bambino come una linea retta dobbiamo pensare all’ospedalizzazione ed all’intervento chirurgico come ad un’interruzione di questa.
È necessario quindi, affrontare e gestire nel modo più adeguato possibile questo momento, rendendo la malattia un’occasione di crescita e maturazione.
Il momento del ricovero è un’esperienza nuova che il bambino deve assimilare velocemente e che inevitabilmente separa il prima dal dopo.
Sono diverse le dimensioni nelle quali si può sviluppare una condizione di rischio: la dimensione affettiva, la dimensione relazionale, la dimensione del corpo e la dimensione cognitiva.
Vissuti emotivi negativi e creazione di ricordi negativamente distorti
Diversi studi hanno dimostrato che la mancanza di controllo sull’ambiente ospedaliero e sulle procedure mediche imminenti è una delle principali fonti di stress, che può causare una notevole ansia ai bambini ricoverati in ospedale.
A tal proposito, una recente revisione della letteratura, condotta da Gabriel e colleghi (2018), ha preso in esame 11 studi che hanno analizzato il vissuto psicologico ed i bisogni dei bambini e dei loro genitori all’interno di un contesto chirurgico. Dal punto di vista psicologico, i diversi studi hanno individuato la presenza di ansia, depressione, paura, stress, sofferenza post-operatoria, trauma psicologico ed il decremento generale del benessere non solo nel bambino stesso ma anche nei suoi genitori. Nel caso specifico delle figure di riferimento, questi vissuti emotivi sembrano riflettere la mancanza di informazioni, consigli e strategie di coping per affrontare al meglio l’intervento chirurgico del figlio. Gli autori sottolineano però la forte interconnessione che esiste tra l’esperienza del bambino e quella dei suoi genitori, portando l’attenzione alla necessità di uno stretto monitoraggio psicologico del genitore al fine di intervenire indirettamente anche su quello del bambino: i genitori fanno da modello ai propri figli, anche rispetto alle abilità di regolazione emotiva.
Un altro aspetto importante è lo sviluppo di ricordi negativamente distorti, compresi i ricordi del dolore. A tal proposito, alcune ricerche (Noel et al., 2015) hanno dimostrato che gli adolescenti i cui genitori tendevano a ruminare maggiormente sul dolore del loro figlio prima dell’intervento chirurgico e quindi ad amplificare il valore della minaccia, successivamente, sviluppavano ricordi del dolore più negativamente distorti. Inoltre, queste memorie del dolore influenzate negativamente ponevano i bambini/ragazzi ad un più alto rischio di esiti di dolore post-operatorio. In particolare, livelli più elevati di ansia genitoriale hanno influenzato i bambini nel ricordare livelli più elevati di paura legata al dolore rispetto a quanto inizialmente veniva riportato da loro stessi, tramite la somministrazione di alcuni questionari pre-intervento chirurgico. Gli autori inoltre riportano che i genitori più ansiosi usano un linguaggio che si concentra sui dettagli dolorosi e angoscianti dell’esperienza del bambino e ciò può incidere nella costruzione di ricordi negativamente distorti.
Ciò che emerge dai lavori citati è che durante l’ospedalizzazione si manifestano stati d’ansia, non solo nei bambini ma anche nei loro genitori, e che questi, possono influire sia sulla percezione della malattia stessa che delle sensazioni di dolore post-operatorie. L’ansia e le conseguenti modalità di comunicazione possono inoltre contribuire alla creazione di ricordi distorti negativamente che non solo incidono sul bambino nel momento del ricovero e dell’intervento chirurgico ma che possono avere anche un’influenza a lungo termine, determinando come deciderà di prendersi cura di sé stesso.
L’importanza di creare uno spazio di gioco e la presenza di personale qualificato e volontario
Negli anni ‘50 Renata Gaddini fu la prima a segnalare i rischi del distacco del bambino dal suo ambiente familiare e ad evidenziare la necessità di salvaguardare il bambino da separazioni in caso di malattia e necessità di ricovero. È proprio per questo motivo che in Italia si inizia a porre maggiore attenzione ai bambini ospedalizzati offrendo diversi servizi come l’assistenza scolastica, il soggiorno dei genitori ed uno spazio dedicato al gioco.
L’ansia è l’emozione più comunemente riportata e alti livelli possono essere dannosi per la salute dei bambini, sia da un punto di vista psicologico che fisiologico. L’eccessiva ansia ostacola inoltre i bambini nell’affrontare le cure mediche, aumenta il loro comportamento poco collaborativo e le emozioni negative nei confronti dei professionisti che in quel momento si prendono cura del bambino.
Il coinvolgimento in attività ludiche durante il ricovero in ospedale può migliorare le capacità di gestione dei bambini e alleviare il loro stress, portando ad un migliore adattamento psicosociale sia alla loro malattia che al ricovero ospedaliero. (Li et al., 2016)
Attraverso il gioco, i bambini hanno l’opportunità di sviluppare la padronanza di sé e dell’ambiente e di migliorare la loro comprensione del mondo.
Nel lavoro di Li e colleghi (2016), gli autori hanno dimostrato che la play-intervention ha dato ai bambini l’opportunità di praticare le routine mediche o infermieristiche attraverso il gioco e ha permesso loro di interagire attivamente con l’ambiente in modo non minaccioso.
A tal proposito è necessaria la presenza, non solo di personale qualificato e dedicato come gli psicologi all’interno dei reparti ospedalieri, ma risulta fondamentale la presenza dei volontari che dedicano il loro tempo e la loro persona alle attività con i bambini.
Conclusione
In conclusione, così come riportato da Gabriel e colleghi (2018) l’esperienza chirurgica può incidere sul bambino sia da un punto di vista psicologico che comportamentale e questi a loro volta possono incidere su diversi outcome di tipo medico. È quindi importante considerare tutti questi aspetti ed intervenire precocemente ed in maniera preventiva sullo sviluppo di tali difficoltà.
Si è visto inoltre come il gioco sia di fondamentale importanza per la vita dei bambini e come sottolineano Li ed i suoi colleghi (2016), non dimentichiamo che i bambini hanno bisogno di giocare anche quando sono malati.
È fondamentale quindi la co-presenza di personale professionale dedicato, come gli psicologi, che possa supportare l’intero nucleo familiare durante il periodo del ricovero e dell’intervento chirurgico: intervenendo sugli aspetti emotivi del bambino e dei suoi genitori, aiutando nello sviluppo dell’intelligenza emotiva e supportando nell’elaborazione del momento; così come la presenza di personale non qualificato, come i volontari, che si dedica al bambino permettendo la creazione di un suo spazio di gioco, dove il bambino può esprimersi e liberare la mente da pensieri e preoccupazioni, anche solo per un breve periodo di tempo.
Per concludere, quindi, come riportato da Rokach (2016), i bambini ricoverati in ospedale sono comunemente confusi, spaventati e hanno bisogno di sostegno, rassicurazione, spiegazione di ciò a cui saranno esposti ma, soprattutto, hanno bisogno di essere riconosciuti come persone che desiderano essere trattate non solo come “corpi”, ma come esseri umani con emozioni, dolore, malattia e preoccupazioni.
Dottoressa Giulia Bresciani
La versione integrale di questo articolo è stata pubblicata sul giornale online “State of Mind – Il giornale delle scienze psicologiche”: https://www.stateofmind.it/2020/10/bambino-chirurgico/