Non esiste “il diverso”, ma diversi punti di contatto con l’altro

Non esiste “il diverso”, ma diversi punti di contatto con l’altro

Se pensiamo alla parola diversità probabilmente la prima cosa che ci viene in mente è qualcosa di negativo, qualcosa che crea distanza tra sé e qualcun altro o tra gruppi di persone.

Si è spaventati dalla diversità proprio perché crea distanza con gli altri. Talmente tanto che attorno ad essa si crea una sorta di tabù.

Spesso, affrontando questo tema all’interno delle classi che hanno aderito al progetto “A scuola con A.B.C.: percorso di educazione e formazione alla cultura del volontariato e dell’inclusione”, i bambini ed i ragazzi sembrano titubare anche nel manifestare inizialmente quello che sinceramente ed istintivamente provano nel momento in cui si trovano a contatto con una realtà diversa e lontana dalla propria

Una caratteristica o un’abilità non equivale all’intera persona, ne descrive solo un piccolo aspetto. Durante i nostri incontri cerco di far scavalcare loro proprio questo muro di timore e coloro che riescono a farlo per primi spesso dicono: “A me le persone diverse inizialmente fanno impressione”. Ed è così che poi si sviluppa una reazione a catena: si sentono gli altri che, a voce bassissima, dicono “Anche a me!”.

È naturale che accada questo. Quel che potrebbe offendere qualcuno è far finta di non provare quest’emozione per poi non affrontarla e superarla. Ragionando con loro sul motivo di questa iniziale “impressione” emerge un’altra parola chiave: l’abitudine. Siamo impressionati, ossia catturati, da ciò che non siamo soliti vedere.

Come possiamo allora eliminare il “tabù della diversità”? parlandone, condividendo questo discorso con gli altri… abituandoci a questa parola. È una parola come tutte le altre. La sua accezione positiva o negativa deriva da quanto si è abituati a parlarne in maniera positiva o negativa. E soprattutto: più si approfondisce il significato di questa parola, più si comprende quanto la diversità non si riferisce ad una categoria di persone.

Se si considera qualcuno diverso si sottintende che altri sono uguali, ma non è così. Ognuno di noi dovrebbe chiedersi: “io a chi sono uguale?”. Cercare di rispondere a questa domanda significa prendere consapevolezza del fatto che ciascuno di noi è il risultato di una particolare storia familiare, sentimentale, esperienze ed occasioni di vita uniche che ci rendono differenti da qualsiasi altra persona. Si comprende così che la diversità appartiene a tutti, ad ognuno di noi. Dunque, ecco perché non esiste “il diverso”, ma solo diversi punti di contatto con gli altri. Si possono avere delle cose in comune con altre persone, incontrarsi su un terreno sul quale potersi sentire simili… ma certamente non uguali. Se si riconosce questo, “l’essere diversi” anziché generare timore provocherà un senso di normalità.

 

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