Il primo incontro con Ramy

Il primo incontro con Ramy

Ho letto la mail da parte dell’IRCSS Burlo Garofolo una mattina di inizio aprile:

“…arriveranno 8 famiglie provenienti dalla guerra in Medio Oriente, tutte con bambini portatori di patologie, nonché di esiti di ferite da conflitto armato; manca ancora un alloggio per un nucleo di 4 persone composto da un ragazzo di 15 anni amputato ad una gamba, due sorelle più piccole e la madre”.

In situazioni come queste è impossibile rimanere indifferenti

E, prima ancora che come Associazione, abbiamo risposto come esseri umani alla richiesta d’ospitalità per una famiglia che scappava dalla guerra.

Dopo molti ritardi ed incertezze, la notte del 29 aprile queste persone sono arrivate a Trieste con un volo speciale dall’Egitto. Il giorno successivo, dopo le prime visite mediche, sarei dovuta andare all’Ospedale per accompagnarli in quella che, per alcuni mesi, sarebbe diventata la loro nuova casa.

Avevo immaginato molte volte questo incontro, perché era la prima volta in cui mi trovavo in una situazione simile. Mi aspettavo di sentirmi triste, arrabbiata e commossa nel vedere bambini con segni evidenti della guerra.

Come spesso accade, l’idea che mi ero fatta è stata diversa da ciò che è successo. I sentimenti negativi sono stati solo una piccola parte di ciò che ho provato quando ho incontrato Ramy, la sua famiglia ed alcuni degli altri bambini arrivati con loro dall’Egitto.

Mi ha sorpreso vedere bambini che, nonostante tutto, si comportavano come bambini

Curiosi, vivaci, capaci di sorridere e far sorridere. In quei momenti mi sono resa conto di quanto avessi ancora da imparare e di quanto le mie preoccupazioni fossero state abbattute dalla naturalezza con cui i rapporti umani si formano anche in situazioni difficili come questa.

È stato un incontro che mi ha arricchito profondamente, ricordandomi che, anche nelle situazioni più difficili, l’umanità e la capacità di resistere brillano ancora.

Arrivati all’appartamento, Ramy e le sue sorelle si sono messi ad esplorare i nuovi spazi, mentre, grazie all’aiuto della mediatrice culturale, io parlavo con la loro mamma sui beni di prima necessità di cui avevano bisogno: riso, pane, verdure fresche, alimenti senza glutine per un membro della famiglia a cui il caso non ha risparmiato nemmeno le difficoltà nel mangiare.

All’inizio erano più distaccati, poi pian piano più sorridenti, nonostante le barriere linguistiche che ci impedivano di comprenderci direttamente. Finita la lista della spesa, prima di uscire per comprare tutto, mi giro verso i ragazzi e chiedo loro: “C’è qualcosa da mangiare che vorreste?” La risposta arriva netta senza esitazioni, come quella che sarebbe arrivata se questa domanda l’avessi fatta a mio figlio: “Nutella!”.

Alle volte vediamo differenze e distanze dove non ci sono

Penso che se le persone, me compresa, si fermassero un attimo a guardare il mondo con gli occhi dei bambini, riuscirebbero a scoprire una semplicità e una purezza che troppo spesso dimentichiamo.

Micol Cossi Sadoch

Responsabile area progetti A.B.C.

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