Cosa significa essere una maglietta rossa?

Cosa significa essere una maglietta rossa?

La protagonista della voce dei volontari di oggi è Antonella, una maglietta rossa da diversi anni che attraverso il suo scritto ci racconta e si racconta rispetto alla sua esperienza di volontariato che si svolge attraverso diverse attività dell’Associazione.

La mia esperienza, nasce come spesso accade un po’ per caso e un po’ per curiosità perché il nome del presidente aveva per me qualcosa di familiare.

Ed è per me significativo ritrovarmi a scrivere nel mese di dicembre, a ridosso del Natale, il periodo per eccellenza dedicato agli affetti, in primis quindi alla famiglia ed ai bambini. Questi i 2 cardini su cui ruota A.B.C.: i bambini del reparto e le famiglie cui si offre “accoglienza “.

Noi di A.B.C. siamo un piccolo gruppo affiatato di volontari che condivide valori, che crede profondamente nel progetto e nella causa e che indossa con orgoglio, e quasi gelosamente, le magliette rosse

Tutti noi abbiamo scoperto che far del bene fa bene, che non c’è regalo più bello che rendere una mano agli altri, abbiamo tutti capito che donare un po’ del nostro tempo vuol dire donare noi stessi per ricevere in cambio affetto, amicizia e a volte riconoscenza.

Il regalo più bello che ho ricevuto in questi anni sono gli occhi dei bambini, quegli occhietti nei quali si nasconde un mondo: è un mondo a volte di dolore, ma molto spesso di profonda speranza e di forte determinazione.

Ci vuole discrezione quando si entra nelle loro stanze in reparto, ci vuole serenità quando si oltrepassa la soglia della porta, ci vuole una certa empatia perché sono spesso proprio loro, i bambini, a dettare le regole della relazione.

Sono loro infatti che ti cercano, sono loro  che ti fanno capire se è  o non è “il momento giusto “, sono loro che ti chiamano perché hai la maglietta rossa o sei “quella di A.B.C.”, ma poi, come in una grande orchestra, si crea una perfetta sintonia…A tutti questi bimbi, che porto scolpiti dentro di me, non posso non dire grazie, grazie di farmi portare a casa un qualcosa che mi fa rimanere volontaria!

E poi ci sono le famiglie: le nostre famiglie che spesso provengono da lontano e che accogliamo nei 3 appartamenti della città. 

A tutte loro il mio più profondo rispetto perché il viaggio a Trieste è quel viaggio che nessun genitore vorrebbe intraprendere per e con il proprio figlio: Trieste è sinonimo in un primo momento di Burlo, di ricovero, di dolore, di un percorso a volte molto lungo ed oscuro che incute paura e che di frequente fa nascere profondi sensi di colpa.

Devo ricordare la riconoscenza e l’affetto di questi genitori, che sempre mi hanno riservato sentite parole di ringraziamento e di gratitudine. 

Mi hanno insegnato a vedere il mondo con occhi diversi, ad apprezzare sia la quotidianità, a volte per taluni davvero faticosa, sia le piccole cose, che, proprio perché piccole, vengono a volte non viste o non valorizzate come dovrebbero. 

Tutte le “mie” famiglie sono per me speciali: tutte diverse nella loro unicità, ma profondamente vicine da un punto di vista umano: il loro “farmi sentire importante” è come un abbraccio fortissimo, è una gratificazione che arricchisce sempre e comunque perché nulla per loro è mai scontato!