Quando si inizia a “prendersi cura?”
Il telefono squilla in continuazione nella segreteria dell’ambulatorio di Medicina Fetale e Diagnosi Prenatale dell’Istituto per la salute materna e infantile IRCCS Burlo Garofolo di Trieste. Ogni giorno, arrivano richieste di consulenze ecografiche per accertare le condizioni di salute fetale. E’ da quel momento che viene accolta una mamma, quindi un bambino non ancora nato ma per il quale alcuni adulti hanno già cominciato a preoccuparsi e a occuparsi.
E’ facile comprendere, quasi scontato, quanto si possano preoccupare i futuri genitori per le condizioni di salute del proprio bambino. Anche gli operatori però vivono una situazione di preoccupazione.
Spesso l’ostetrica o l’infermiera che risponde al telefono per un appuntamento, raccoglie anche le ansie e le angosce della paziente che frequentemente, in quel momento, aggiunge particolari della propria storia personale e ha bisogno di sentirsi accolta e sostenuta nel momento iniziale di un percorso sanitario spesso lungo e travagliato.
L’operatrice sanitaria, quindi, si trova a cercare toni e parole che possano aiutare chi si trova dall’altra parte del telefono a vivere un momento complicato della propria vita.
Il giorno del primo appuntamento, l’ostetrica compila la cartella sanitaria e nel fare questa procedura, apparentemente soltanto sanitaria e istituzionale, accoglie, in realtà, la donna con tutta la sua storia; è questo un momento di grande intimità, in cui, a volte la paziente ricorda eventi della propria vita che ha tenuto sommersi.
Oggi, l’annuncio di una malformazione fetale avviene, a differenza di anni fa, molti mesi prima della nascita e coinvolge pienamente la ginecologa ecografista. E’ questo l’altro operatore sanitario che accoglie e sostiene la coppia con il loro bambino che deve ancora nascere ma che presenta una malformazione.
E’ l’ecografista che accerta la malformazione o la salute fetale ed è chiamata a comunicare alla coppia, la scoperta accertata. Il medico si trova quindi a sostenere un momento che, quasi sempre, costituisce uno shock per la coppia; il medico quindi deve trovare le parole, il modo e un tempo affinché i pazienti comprendano la realtà prospettata.
Durante questo processo di elaborazione di una perdita, il medico accoglie tutte le proiezioni di quei sentimenti dolorosi legati all’angoscia, la rabbia, la disperazione dei pazienti.
Ogni operatore sanitario che stabilisce una relazione con il paziente che accede a questa struttura, entra in contatto, attraverso strumenti sanitari, istituzionali, e organizzativi ( cartella clinica, appuntamenti, esami ecografici, procedure invasive ecc), con vissuti profondi e talvolta drammatici raccontati dalle pazienti stesse.
Per quanto riguarda questo aspetto, le risonanze suscitate all’interno di ogni operatore potrebbero essere riconosciute e condivise, grazie al lavoro di gruppo, come un carico importante di fatica accumulata nel corso del lavoro giornaliero.
Il confronto e la condivisione di alcuni vissuti quotidiani nella relazione con i colleghi, può permettere di cercare insieme e condividere modi nuovi per collaborare, accogliere e soddisfare sia le richieste delle pazienti che le esigenze lavorative.
In un ambulatorio dell’Ospedale come questo, la storia di ognuno, quella dell’operatore sanitario e del paziente, si intrecciano, corrono vicine, si sovrappongono, si dividono, si separano per sempre.
Quando poi un bambino riesce a nascere e a vivere la sua vita, quegli operatori, che fino dalla prima telefonata della mamma, si sono occupati di lui anche se in modo indiretto, diventano parte della sua storia.
Di solito la storia di ognuno viene raccontata dai propri genitori e conoscerla, è un diritto.
Sono convinta che ogni operatore sanitario, con il proprio lavoro, abbia permesso ai protagonisti della propria storia di conoscerla e soddisfare, quindi, un proprio diritto.