Siete un respiro
La protagonista della voce dei volontari di oggi è Aurora, che attraverso le sue parole ci trasmette le emozioni delle prime volte e come queste si siano modificate nel corso del tempo, trasformandosi e rendendosi più consapevoli.
Quella in A.B.C. rappresenta per me la prima esperienza che mi ha messo concretamente in contatto con il volontariato. Non nego di aver provato un po’ di ansia la prima volta che ho varcato la “soglia” del reparto, quell’ansia che ti fa prendere consapevolezza di dove sei e che, ecco, sta per iniziare qualcosa di nuovo, qualcosa che non avevo mai conosciuto prima. E proprio in quella prima volta è stata fondamentale la presenza e il sostegno degli altri volontari che, prima di me e ognuno in modo del tutto personale, avevano attraversato per la prima volta quel lungo corridoio con dieci porte. La maniglia di ognuna di queste porte rappresentava il confine ultimo tra me e il “mondo” ospitato dentro.
Sì, perché in ognuna di quelle stanze non ci sono solo due o più bambini assieme ai loro genitori, non è contenuto solo il malessere e il dolore fisico dovuto alla loro condizione medica, ma anche le preoccupazioni, le paure, la stanchezza dei giorni passati e la speranza per quelli futuri. In quella stanza è sempre presente una storia. Quando incontri per la prima volta gli occhi di un bambino chirurgico e della sua mamma o del suo papà capisci realmente quanto tutto non si limiti all’ospedalizzazione. Spesso si tratta di famiglie che hanno affrontato un lungo viaggio, che hanno dovuto lasciare la loro casa e parte della propria famiglia, della propria quotidianità, non per fare una vacanza piacevole ma, piuttosto, per ricevere le cure necessarie al loro bambino.
Questo primo periodo in A.B.C. mi ha dato la consapevolezza di quanto un ritaglio di sole 2 ore del proprio tempo costituisca in realtà un dono prezioso per i bambini chirurgici e i loro genitori costretti in una stanza d’ospedale. Genitori che spesso faticano a concedersi una piccola pausa da quella stanza. Spesso è capitato che, alla nostra sola vista, iniziassero a sfogarsi. Ecco, la presenza di un volontario può rappresentare per loro una valvola di sfogo delle preoccupazioni e le ansie che cercano di contenere, non solo riguardo la situazione che affrontano in ospedale, ma anche di quella che hanno lasciato a casa. Altre volte può rappresentare un momento in cui concedersi di staccare, di prendersi una piccola e fondamentale pausa anche solo per bere un caffè o fare una doccia. Tutto può essere racchiuso in una frase detta da una mamma di un bambino chirurgico che mi è rimasta nel cuore, ovvero “siete un respiro”. Una frase così piccola ma che, al contempo, è in grado di racchiudere un significato profondo per chi fa volontariato. In realtà, però, sono proprio quei piccoletti a donarci ogni giorno qualcosa, ognuno in modo diverso.
Essere volontario, infatti, è donarsi ma al contempo impreziosirsi dei loro sorrisi, delle loro battute, delle loro dolcezze, e anche del loro sconforto. Essere volontario è condividere un momento di gioco che possa permettere a quei bambini di ricordarsi di essere solo dei bambini in un contesto in cui è difficile farlo. Essere volontario è sentire un “ti stavo aspettando” che ti fa sorridere dentro ma, anche, salutarsi incrociando le dita insieme a loro, seppur con un velo di tristezza, nella speranza di non vedersi più l’indomani, perché questo significherebbe per loro tornare a casa.
Ad oggi, quel corridoio lo conosco un po’ meglio, il mondo dietro quelle porte, invece, rimane sempre un’incognita. Certo, un po’ di quell’ansia mi accompagna ancora ma, al suo fianco, c’è una consapevolezza più grande: non c’è regalo più prezioso di un tempo dedicato.