Come glielo dico?

Come glielo dico?

«E ora come lo dico a mio figlio? Ha due anni, è piccolo, non capisce… Meglio non spiegargli niente? Gli diremo che fa una visita e basta?»

Queste domande, e tante altre ancora, sono quelle che i genitori, appena avuta la comunicazione della necessità di un intervento chirurgico, mi pongono chiedendo suggerimenti.

Dietro a questi interrogativi c’è tutta l’ansia di una mamma e di un papà che non vorrebbero mai accompagnare il proprio bambino o ragazzo verso la sala operatoria, sia quando deve affrontare un intervento chirurgico di routine, sia perché si sottoponga invece a un intervento complesso e particolarmente invasivo.

Mentre rispondo, sono consapevole che le mie parole, al di là del loro contenuto e del loro significato, accompagnano il genitore nell’imboccare il percorso di elaborazione dell’evento chirurgico che si avvicina: pensare che nel corpo del proprio figlio venga inferta una ferita più o meno grande presuppone una elaborazione-digestione più o meno lunga.

Tornando alle domande iniziali, vorrei specificare e sottolineare che, a qualsiasi età, a due, a dieci o a sedici anni, i figli si misurano con i genitori e misurano il mondo attraverso di loro. A seconda dell’età, i contenuti sono diversi ma l’unità di misura è unica, speciale e appartiene proprio a quel figlio con quei genitori; serve a crescere nel mondo, a fare esperienze, a imparare, a sperimentare i propri confini rispetto agli altri e alla propria realtà. Tutto ciò avviene dal momento della nascita e forse anche da qualche mese prima…

L’intervento chirurgico, quindi, costituisce una realtà che va affrontata insieme, pensata e vissuta fin dalla comunicazione del medico; naturalmente i tempi di comunicazione al bambino possono variare in base alla sua età.

A un bambino di tre o quattro anni può bastare dirlo un paio di giorni prima, dandogli la possibilità di avere un tempo sufficiente, ma non troppo esteso, per elaborare, magari attraverso il gioco, l’evento annunciato: è in questo modo, infatti, che i piccoli pazienti chirurgici elaborano la realtà, giocandola o rappresentandola. Quando il bambino ha un’età tale da riuscire a esprimersi graficamente, allora il disegno può essere uno strumento efficace per affrontare l’elaborazione del percorso chirurgico.

Gli adolescenti, poi, hanno diritto a uno spazio di tempo per parlare di quello che stanno per affrontare, sia con i genitori che con gli amici e i compagni; a volte il chirurgo che effettuerà l’intervento riserva al giovane paziente uno spazio speciale di tempo perché il ragazzo possa esprimere tutte le sue perplessità, i dubbi e le paure.

Soltanto quando il genitore riesce a raccontare l’imminente intervento chirurgico al proprio figlio, allora il bambino/ragazzo può affrontare la realtà, anche quella chirurgica.