“Coraggiosità”

“Coraggiosità”

Non esiste. Questo termine non esiste nel vocabolario italiano ma , pensandoci bene, lo introdurrei proprio in questo periodo. Attraversando diversi reparti dell’ospedale per accompagnare le famiglie conosciute in ecografia a seguito di diagnosi prenatale, assisto frequentemente a episodi che mi richiamano la “coraggiosità”.

Questo è quello che si respira nell’aria entrando in certe stanze dove tutti ne vengono  acchiappati senza neanche rendersene conto.

In un periodo come questo in cui si controlla molto bene ciò che si respira temendo la grande minaccia del COVID-19, non ci si accorge di un antagonista virale che tutti, chi più chi meno, attivano individualmente nel percorso ospedaliero. La coraggiosità.

Nella stanza dell’ecografia, ad esempio, quando la mamma scopre il pancione perché il medico controlli che tutto sia a posto, l’ aria diventa più densa, fitta di quella coraggiosità impalpabile ma necessaria affinché si riesca a effettuare l’esame ecografico per seguire l’evolversi di una situazione patologica già accertata. La mamma e, raramente in periodo COVID, il papà, devono avere quella forza che li sostiene a fare un esame che non vorrebbero fare mai e accertare quel “…qualcosa che non va…”

Credo che sia la coraggiosità ciò che permette ai pazienti di volere accertare e confermare la malformazione, non possono scapparne. Neanche gli operatori però, possono scappare da tutto questo e restano a respirare la stessa aria e ne sono invasi, la respirano contribuendo con la propria coraggiosità. Perché ce ne vuole per comunicare notizie spiacevoli e dolorose! Ci vogliono grandi braccia per riuscire a sostenere e accompagnare il dolore dei genitori e il loro bambino.

La coraggiosità non resta ferma, sale al quarto piano dove le mamme vengono ricoverate, a volte preventivamente, in attesa che nasca il piccolo. Anche lì, spesso, respiro aria densa di coraggiosità. Ricordo una giovane mamma che per tre mesi, ferma a letto, è riuscita ad aspettare attendendo la nascita del proprio bambino. Da sola, senza la vicinanza di un proprio marito. , con il cambio della biancheria passato sulla porta a rubare uno sguardo. Coraggiosità. Poi il tempo è stato scandito dalle visite, due volte alla settimana, per un’ora soltanto, dal compagno che portava da lontano piccole e dolci “ coccole” per alimentare la loro coraggiosità . Il rumore del monitoraggio e l’orecchio attento ai movimenti, in certi giorni troppo rari, venivano ascoltati da quella mamma, ragazza delicata ma determinata, con molta ansia e ne condizionavano la giornata. Una giornata piena di coraggiosità.

Nel mio vocabolario personale, questa parola, c’è già.